Lo voglio perché è mio

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Non so bene come andò in quell'agosto; dovevo essere tornato dal mare o dai monti prima di tutti gli altri, insomma, ero solo, mollato, senza risorse. Chiuse le biblioteche, i circoli, i negozi, i fornai, non ancora aperti i festival, neanche un prete per chiacchierar. Anche le radio erano chiuse, riprogrammavano i nastroni a intervalli regolari, ti facevano sentire l'ultimo uomo sulla terra. Una di quelle situazioni in cui persino i portatori sani di solitudine, come me, si appendono al cellulare. Salvo che i cellulari ancora non c'erano. Insomma dovevo essere davvero disperato, perché mi cercai un lavoretto.

Io non so perché in quell'anno si ritrovarono a distribuire le Pagine Utili in agosto. Evidentemente c'era stato un ritardo nella produzione, ma non aveva senso lo stesso, a quel punto è meglio aspettare settembre, il rientro. Conosco le abitudini. Capivo che c'era qualcosa che non andava, ma ero tramortito dal sole, dalla solitudine, e nello scantinato del caporale c'era un enorme planisfero politico, io non riesco a concentrarmi sui miei problemi da piccolo umano quando mi mettete davanti a un planisfero politico, uno sguardo più puro sul mondo, così gli dissi sì, conosco la Bassa, vi posso coprire un comune, ma piccolo, facciamo... Camposanto.

Camposanto, adesso io non voglio polemizzare, ci ho anche degli amici, però c'è un motivo se tra tutti i nomi al mondo gli è rimasto appiccicato Camposanto. Camposanto, secondo i tabulati che mi consegnarono, faceva tremila abitanti: meno di mille pezzi da distribuire. Ma era un calcolo fatto d'inverno, forse nei ruggenti anni Ottanta. Camposanto, quando ci arrivai in quell'agosto, il baule carico di pagine utili intonse, era la cosa più simile al villaggio del west quando si esaurisce la miniera. I cespugli rotolanti, avete presente? Ne ho visti. Un miraggio, probabilmente, ma ciò non toglie.

Il mestiere consisteva nel distribuire questi ingombranti parallelepipedi utili di carta, che se fossero stati realizzati in ghisa non avrebbero pesato meno, agli abitanti. Qualcuno in seguito avrebbe telefonato a un campione di questi abitanti, per verificare se il lavoro era stato fatto. Il problema era che essi abitanti avevano visibilmente abbandonato Camposanto al suo omonimo destino. L'età media della popolazione residua si aggirava intorno ai settanta. Molte casette anni '50, con la scala esterna e il garage interrato, risultavano sprangate. I cinque nativi che incrociai il primo giorno mi recitarono più o meno la stessa scena:

ABITANTE DEL CAMPOSANTO: Guardi che è inutile che suona a quelli lì. Non ci abitano mica più.
IO: Mi scusi, sto distribuendo gli elenchi telefonici, io...
AdC: Gli elenchi in agosto? Ma a noi li han già dati.
IO: Sì, ma questi sono un po' diversi... comunque io li lascio qui, sul davanzale, così quando ritornano...
AdC: Ma guardi che lì ormai ci abitava solo la Pina, ma poi si è ammalata... è da tanto che è in ospedale... lasci perdere...

Ogni volta che nella vita mi hanno detto di investire sul mattone, che era una sicurezza e non sarebbe mai sceso, mi torna in mente la situazione immobiliare di Camposanto. La gente aveva tirato giù le tapparelle ed era andata a morire, e la casa stava lì, ammuffendo, nel nulla. Chi se la sarebbe presa. E a che prezzo. Insomma, lasciatemi perdere. Non voglio comperare (né essere comprato).

Al termine del primo giorno potevo già constatare il fallimento: solo un elenco telefonico su quattro era stato consegnato a persone apparentemente viventi. Gli altri erano stati appoggiati sui davanzali, davanti alle porte, il mattone di carta essendo troppo ingombrante per la cassetta della posta. Inoltre i dati del mio stradario risultavano completamente sballati, perché proprio in quei mesi Camposanto aveva preso una di quelle misure impopolari che si prendono una volta ogni cinquant'anni, ovvero cambiare il nome e la numerazione delle strade. Probabilmente per dar fastidio a me. Cioè, sul serio, cominciavo a pensare che Camposanto fosse un fondale realizzato per farmi impazzire. 24mila pensieri al secondo fruiscono, inarrestabili.

Il giorno dopo mi recai a Modena per il secondo carico di parallelepipedi utili. Avevo il baule vuoto, eppure all'altezza di Albareto cominciai a sentire un tonfo sordo, come un ostaggio che bussava. Era l'albero di distribuzione del motore, come seppi poi, che si era trinciato di netto, e se muoveva ancora pistoni nei cilindri era solo per sbaglio, come quegli animaletti decapitati che ancora respirano. La macchina si fermò in Villa d'Oro, di botto.

Mi feci prestare quella dei miei, con l'aria condizionata. Comodo, ma come dire: poca soddisfazione. Il secondo giorno mi addentrai nella Madonna del Bosco, la zona più selvaggia della bassa modenese. Le strade non erano ancora asfaltate. Lungo la Panaria scoprii tutta una serie di vecchie fattorie occupate da neri e magrebini. Loro non erano segnati nei tabulati, ma gli elenchi glieli davo lo stesso. A quel punto li avrei dati anche i marziani, pur di farla finita. Alimentando voglie e necessità.

A un certo punto tornai nel ventre di Camposanto, e un'osservazione mi sollevò l'umore: gran parte delle pagine utili che avevo 'distribuito' il giorno prima erano ancora sui davanzali, nelle fessure dei cancelli. Certo, e dove avrebbero dovuto essere? Nessuno era così sciocco da portarseli via. Sarebbero rimasti lì fino a settembre, e con un po' di fortuna molti abitanti del Camposanto le avrebbero trovate, avrebbero testimoniato che il lavoro era stato fatto. Bastava solo che non piovesse. Del resto il cielo era limpido.

Quel pomeriggio grandinò. In pochi minuti l'acqua inondò i marciapiedi, decine di pagine bianche andarono a intasare i tombini. La cosa positiva è che Antenna uno aveva ripreso la programmazione. Stavano scartando le novità, addirittura. Una lunga lagna di quei tizi che avevano avuto successo anni prima e poi si erano persi di vista, i Radiohead. E un pezzo dei CSI un po' più tirato del solito.



Proprio in quei giorni qualcuno che era rimasto negli uffici compilò i dati di vendita e scoprì qualcosa che aveva dell'incredibile: il nuovissimo disco dei CSI era primo in classifica. Fu una svolta storica; ma adesso, ripensandoci, chi accidenti se li andava a comprare i dischi a metà agosto? Bisognava essere persone strane, intrappolate in situazioni assurde, attratti, fortemente attratti. Civilizzati, sì, civilizzati.

Ma voi volete sapere se alla fine mi pagarono; se irruppi nello scantinato gridando "Voglio ciò che mi spetta". No, non lo feci, e sì. Qualcosa mi diedero. Nulla che valesse un albero di distribuzione, ovviamente.
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e chi non c'è, non c'è

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Aborto terapeutico

Mi dispiace per aver creato delle attese, ma dopo l'esito della manifestazione "Aborto no grazie" di sabato 8 marzo, durante la quale Ferretti ha intonato il Te Deum per un pubblico inferiore a quello dei suoi primi concerti punchettoni a Scandiano o Codemondo, ho deciso di sospendere unilateralmente la mia campagna di presa per il culo di Giuliano Ferrara, un uomo solo di fronte al ridicolo.

La mia non è pietà, che riservo ai puri di cuore, o comunque non ai raccomandati storici, ma puro calcolo: a sfottere Ferrara siamo già in troppi (e quasi tutti più bravi di me: Disegni, Guzzanti, Cortellesi, vado a nascondermi). È un accanimento degno di miglior causa. La verità, illustrata dal clamoroso flop di sabato, è che se non fosse per noi che lo prendiamo in giro, di questo signore non parlerebbe nessuno, perché le cose che dice non sono interessanti.

[Per inciso, mi piacerebbe proporre una legge non molto democratica che imponesse l'abbandono della politica a tutti quelli che indicono una manifestazione nazionale e non riescono a raccogliere in un sabato nemmeno mille persone – pensate, in un colpo solo ci libereremmo di Ferrara e Capezzone (e anche Mastella e Boselli, che però sono più furbi e in piazza da soli non si fanno trovare mai)].

La mia sensazione è che la campagna di Ferrara, come il portale di Capezzone, o le campagne elettorali di Adinolfi, o le teorie quantistiche di Gabriella Carlucci, o i gatti bonsai, facciano parte di quell'insieme di cose che esiste soltanto su internet, e magari un po' su La7, ma che se ne parli nel mondo vero la gente ti guarda strano, chi è Adinolfi? La Carlucci non fa la soubrette? E Ferrara è da un pezzo che non si sente più, che combina?

Certo, gli fanno scrivere un giornale: ma non lo legge nessuno (se non per sfotterlo, appunto). Certo, è continuamente in tv per via di una complicata politica di scambio di favori; ma la gente cambia canale. Anche i vescovi, probabilmente.
Rispondendo alle sue provocazioni si finisce per accettare il postulato che il dibattito sulla vita sia prioritario in questa campagna elettorale. Personalmente non ritengo che lo sia, né vorrei che lo diventasse. Non solo, ma tutte queste chiacchiere sventate sulla sepoltura per gli aborti hanno il risultato perverso e non casuale di far apparire Silvio Berlusconi un campione di laicità semplicemente perché queste cose non gli interessano (come non interessano buona parte della società civile o incivile che sia, che di aborto comincia a preoccuparsi soltanto il giorno che la figlia si mette a piangere per il ritardo). È un gioco di sponda, involontario o no: io mi smarco. In questi giorni ho parecchio da fare e forse neanche un minuto al giorno per le farneticazioni di un signore che pur variando i dosaggi dei farmaci non ha ancora nemmeno visto Dio. Evidentemente non è portato: però è un problema suo.
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de guribus

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Dietro di te vedo i milioni

Ma io non mi vergogno mai di quel che scrivo? Spesso. Molto. Non mi cancello per pura pigrizia. Mesi fa per esempio scrissi una sciocchezza su Giovanni Lindo Ferretti, che è stata ingiustamente apprezzata da parecchi. Non saprei dire se mi fosse mai capitato di scrivere qualcosa di altrettanto fazioso e impreciso (probabilmente sì). Nel pezzo mi abbandonavo ad affermazioni incontrollabili, come ad esempio: “Nessun campanaro è mai stato fatto santo”. Ci hanno messo pochi giorni a sbugiardarmi, ovviamente.
Ma soprattutto devo rimangiarmi un’affermazione. Ho scritto: “quello è stonato”. Be’, ma che ne sapevo? Devo rimangiarmela perché sabato sono stato trascinato a un suo concerto, in una sala municipale persa da qualche parte nella nebbia piemontese. Ferretti salmodiava accompagnato da un violinista, un bandoleon e un altro cantante, con qualche ottava in più di lui. Io temevo di stramazzare dopo pochi minuti, e invece sono riuscito a stare sveglio per i tre quarti. Intorno a me il pubblico seduto apprezzava, applaudiva e adorava. Senza essere il grande cantante che non ha mai preteso di essere, Ferretti ha dimostrato un carisma impressionante, e non ha steccato mai. Ma quand'è che invece lo avevo sentito steccare, Ferretti? Mi sono reso conto solo allora che quella era la prima volta che lo vedevo cantare dal vivo. Sul serio. Un reggiano. Mai stato a un suo concerto. Per evitarlo tutti questi anni devo averci messo dell’impegno, eppure giuro di non essermene mai accorto. Insomma, io sono uno che tiene un blog e sputacchia le sue sentenze su cantanti che non ha mai ascoltato dal vivo in vita sua. Non mi vergogno mai? Talvolta.

C’è questa polemica sulle sue vecchie canzoni. L’ho letta spesso, anche nei miei commenti: se ha cambiato idea va bene, ma non dovrebbe più cantare le sue vecchie canzoni. Il problema è che forse lui non ha cambiato idea. Ieri come oggi continua a cantare la decadenza del corpo umano e di quanto siano invece fighi i corpi incontaminati dei cavalli. Queste scemenze idilliache, o se preferite apocalittiche, erano già dominanti in Linea Gotica (e forse prima), e se non ve ne siete accorti è per il frastuono di tutte quelle chitarre. Sarà un bravo cantante, ma è da più di dieci anni che si atteggia a guru anti-moderno, e a me i guru non piacciono. È una cosa che mi porto dietro da lontano.

I meno giovani ricorderanno di quando Bono perse la testa, e da ragazzaccio di Dublino s’improvvisò predicatore alle masse? Più o meno ai tempi di Rattle and Hum – io divorziai dagli U2 in quel momento. Adesso andiamo d’accordo, più o meno da quando il gran cantante ha scoperto una cosa che si chiama autoironia. Ma posso risalire ancora più lontano. Voi lo avete mai visto Tommy? È un film pazzesco. Una di quelle cose che può piacere a Valido.

Con ordine. Tommy in principio era un fantastico disco degli Who, scritto da Pete Townshend in un periodo in cui il giovane chitarrista era effettivamente seguace di questo o quel guru. Tommy è un ragazzo sordo, muto e cieco, che dopo vari abusi diventa campione di flipper, guarisce dalle sue infermità e diventa un profeta. La storia era sconclusionata e incomprensibile, ma la musica era potente. Si passavano serate a guardare la puntina del giradischi e ad ascoltare questo disco oscuro e abbagliante, che parlava di violenze sui minori e viaggi acidi. E verso la metà, e alla fine, c’era un inno fantastico:

Listening to you I get the music.
Gazing at you I get the heat.
Following you I climb the mountain.
I get excitement at your feet!
Right behind you I see the millions.
On you I see the glory.
From you I get opinions.
From you I get the story.

…ma non è che si sapessero bene le parole, a quei tempi. Però era esaltante.
Qualche anno dopo Ken Russel trasformò la storia in un film che definire visionario è riduttivo (oltre che banale). In questo film viene reso evidente qualcosa che nel disco non era affatto chiaro: Tommy è uno psicopatico. Per guarire i suoi adepti dal logorio della vita moderna, vuole renderli sordi, muti e ciechi, com’era lui. È guarito dalla sordità e dalla cecità soltanto per regalarla agli altri. Come dice questo critico, John Demetry: "Tommy's liberation becomes a means of mass exploitation".

Per me il Tommy di Russel è quasi una parodia di quello di Townshend, anche se canta più o meno le stesse canzoni. Tutto l’entusiasmo ingenuo, la pura fede del disco del 1969, nel 1975 è diventata una truffa, un sogno acido, una sagra pop. Cos’era successo? I guru di cinque anni prima avevano perso tutto il loro appeal. E l’inno finale di Tommy, nella versione sottotitolata in italiano, suonava sinistro: aveva un che di nazista.
Ascoltando te, io ricevo la musica,
guardando te, io traggo il calore.
Seguendo te, io scalo la montagna,
ai tuoi piedi io provo eccitazione.
Dietro di te, io vedo i milioni;
su di te, io vedo la Gloria.
Da te, io prendo le mie opinioni;
da te, io imparo la Storia.

Il bello è che a tutt’oggi non riesco ad ascoltare quella canzone senza provare un desiderio struggente di scalare una montagna dietro un qualsivoglia leader, persino Lindo andrebbe bene, traendo eccitazione e lezioni di Storia dal suo tallone. Ogni volta che mi chiedo “ma come hanno fatto milioni di tedeschi a seguire uno psicopatico”, mi basta pensare a quel coro di Tommy. Probabilmente loro usavano materiale più professionale, Wagner & co., ma Tommy basta e avanza per farsi un’idea. “Dietro di te, io vedo i milioni…” Millionen stehen hinter mir, si diceva un tempo. Milioni di persone eccitate ai tuoi piedi, disposte a non guardare, e a non sentire. Forse in ogni cantante un po’ esaltato c’è un führer in potenza. Forse in ogni pubblico estatico c'è il brodo di cultura delle prossime SS. Poco male, basta saperlo. Se io l’ho capito guardando Tommy, c’è una speranza davvero per tutti.

[Ps: di Tommy vorrei salvare due versi magnifici. Uno dice “When I see your smile, I can face brave weather”. (“Quando vedo il tuo sorriso, so che posso affrontare il cattivo tempo”). L’altro andrebbe scritto a grandi caratteri su tutte le case del Regno, e recita: “La libertà ha il sapore della realtà”. In inglese è molto meglio: “Freedom tastes of reality”. Ci si mette molti anni a capirlo, ma è vero. Townshend c’è arrivato presto – forse il suo guru non era così male, dopo tutto].
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- oh! battagliero

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Uno sguardo ardito e fiero che rincorre l'aldilà

Io non volevo troppo parlarne, ma è vero che in questi fine settimana, in queste nebbiose città cispadane, la gente col bicchiere in mano guarda il cielo o guarda i portici e non fa che chiedersi: hai visto che fine ha fatto Lindo? C’è qualcosa che possiamo fare? Per lui? O per non diventare come lui?

Non lo saverà dal cero / il suo lucido pensiero

A domanda rispondo che l’unico vero vaccino a quel che è successo a Lindo (la vocazione fulminante) andava preso da bambini. Si chiama catechismo, è abbastanza duro da mandar giù, ma se ti fai la trafila regolare dalla prima confessione alla Cresima, ti puoi considerare abbastanza immunizzato. E allora lo vedete che serve, il catechismo? E i sacramenti? Non solo per conoscere Gesù, ma per assuefarsi ai preti. Hai paura di soccombere al fascino dei preti? Vent’anni di messe alla domenica, e non ci pensi più. Nessun campanaro è mai stato fatto santo, che io sappia.
E questo ci pone un problema, amici emiliani. Siamo stati un po’ svogliati negli ultimi cinquant’anni. Quello che è successo a Lindo può davvero succedere a chiunque. Non siamo vaccinati alla vocazione. Al primo incidente, alla prima malattia grave, c’è il rischio che cadiamo come pere. Fortuna che abbiamo dei buoni ospedali.

Fortuna? Lindo è stato salvato dalla scienza, e si è convertito alla religione: così la scienza impara, a salvare i vecchi punk. Ora combatte l’uso delle staminali: guai se un giorno la gente soffrisse meno di quel che ha sofferto lui. Tutto questo è persino buffo da quanto è ingiusto: perché non succede mai il contrario? Avete mai sentito parlare di un malato salvato da Padre Pio che si converte alla ricerca scientifica e lascia tutti i suoi averi a Telethon?

Rispettoso e lusinghero il giudizio che si dà

Io non volevo troppo parlarne: chi è Lindo, dopotutto, perché me ne freghi di lui? Chi l'ha visto un po' più da vicino non credo sia troppo stupito. Lui sul misticismo ci ha sempre giocato: a fine anni Novanta venne a Modena a leggere vangeli apocrifi in una chiesa sconsacrata. Penserete a una provocazione profana, e invece no: la chiesa era l’aula magna della fondazione-collegio San Carlo, un’istituzione culturale, ed era piena di signore impellicciate e giovani in tenuta alternativa. Tutti assieme, perché questa è l’Emilia, e nelle sue contraddizioni placide Lindo ci sguazzava. Ma a noi stava bene così, pensavamo fosse una posa, un gioco. Se invece diventa una cosa seria, ci restiamo male. Interessante, no?

Ci restiamo male perché da qualche parte abbiamo letto che Lindo è uno di noi, che quel che succede a lui ha senso per voi. Ma dov’è scritto, esattamente? Quand’è che Lindo ha cominciato ad appartenerci?
C’è un po’ di confusione: abbiamo sovrapposto alcune cose. Negli anni Novanta il famoso crollo delle ideologie, bla bla, è stato cauterizzato con una botta di autoindulgenza padana. Quanto siamo simpatici noi emiliani, un po’ comunisti un po’ anche no, con Ligabue e Guccini e tutte le pubblicità di roba da mangiare in tv. E va bene.

Un giaccone color nero / marca la diversità

Ma Lindo non c’entra. Passava di lì per caso, e a osservarlo bene era chiaro che se ne sarebbe andato da qualche altra parte. Lui veniva dagli anni Ottanta, e negli anni Ottanta chiedeva una mano per bruciare il piano padano. I suoi ’80 non erano quel paradisino di plastica e gel che ci raccontano su MTV: erano quelli dell’eroina e dei bombardieri su Beirut. La sua Emilia era una patria paranoica, i circoli Arci lampi nella notte privi di qualunque poesia crepuscolare, un mondo che si sgretola e rotola via (narcotico, frenetico, smanioso, eccitante). Una terra piatta senza connessioni, dov’è impossibile incontrare davvero le persone: Lindo non smette di ricordare che i CCCP sono nati a Berlino, come se solo a Berlino due reggiani potessero incontrarsi davvero e combinare qualcosa.

Né un manipolo guerriero / lo potrà resuscitar

Lindo era punk: di quel punk intellettualoide, situazionista, che andava in quegli anni, e che noi non riusciamo più a capire, da tanto lo abbiamo metabolizzato. Adesso a Reggio ci sono gli Offlaga Disco Pax: un gruppo che tratta l'Emilia '80 come la piccola terra perduta, il Canavese di Gozzano. Sono molto simpatici, ma Ferretti non era così. Lui voleva essere davvero sgradevole, e noi ci siamo sforzati di farcelo piacere: se non è un equivoco questo. Quando provocava lo prendevamo seriamente: quando era serio, ci piaceva pensare che scherzasse. Bene, adesso è serio.

...E a me scappa da ridere. Dopo tanti anni di parrocchia li conosco, i convertiti. Intorno a loro c’è sempre una nuvola di zelo esilarante.
Pensate solo a Giuliano Ferrara, che in mancanza di meglio elegge Lindo Ferretti musa dei Teocon, con relativo effetto-Barney sulla redazione del Foglio. Pensate ai redattori costretti ad ascoltare e commentare con aria ispirata Affinità-divergenze tra il compagno Togliatti e noi. Beh, non è fantastico?
Potete prendervelo Lindo, mica è nostro. Non è di nessuno. Potete usarlo come megafono, probabilmente s’incepperà, pazienza. Fatene quel che volete, ma sappiate che c’è una cosa che non riuscirete mai a fargli fare: tenere una nota. Quello è stonato. Una missione impossibile, anche per la Madonna di Civitavecchia. O no?

Corre in cielo corre in cielo...
Oh! Battagliero.
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